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- Scritto da Luca Monaco e Lorenzo D’Albergo
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Lo zio sociologo del tifoso morto dopo i tragici fatti della finale di coppa Italia, ripropone in un libro (Dante & Descartes) l'analisi dei fatti, sullo sfondo del mondi ultrà e dei media, nella speranza che nella Napoli lontana dai salitto del potere qualcosa possa veramente cambiare
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- Scritto da Massimiliano Gallo
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Scampia è Gomorra. È la famiglia Savastano. È «vienete ’a piglia’ ’o perdono». È: «ma è proprio così,vero?». Un business ha prodotto un altro business. La poesia del film di Garrone è stata spazzata via dalla fiction che – secondo loro – dovrebbe mettere a nudo il cancro di una realtà e presto sarà bissata. A proposito: a quando un album di figurine? Se ne sente la mancanza.
A Scampia, però, non ci sono solo i Savastano. Ci sono anche gli Esposito. E a casa Esposito sarà un Capodanno particolare. Il primo senza Ciro, il giovane tifoso del Napoli morto di calcio. È da poco in libreria “Ciro Esposito. Ragazzo di Scampia”, un libro firmato dallo zio del povero Ciro, Vincenzo, un passato nella Fiom e di battaglie politiche, edito dalla libreria Dante & Descartes. Un libro che è anche una raccolta degli articoli pubblicati in quei giorni a Napoli. Anche. È soprattutto la testimonianza e il racconto dello zio. Sin dai primi momenti di quel pomeriggio del 3 maggio, quando la tv diffondeva informazioni approssimative e a casa Esposito arrivavano telefonate rassicuranti di chi era lì: «Ciro è stato colpito a una mano».
A leggere quelle righe, l’ansia risale anche mesi dopo. È inevitabile immedesimarsi con una famiglia che improvvisamente si ritrova al centro di una tragedia. Vincenzo Esposito pone subito l’accento sulla trama scelta dai mass-media, sull’abisso tra il succedersi dei fatti e il copione recitato da giornalisti e opinione pubblica. Con Genny ’a carogna al centro della scena. E la notizia della fantomatica rapina di cui sarebbe stato protagonista Ciro.