La crisi mondiale ha accelerato le difficoltà del settore automobilistico, e i processi d’integrazione e razionalizzazione tra le varie aziende mondiali.
Già alla fine degli anni Novanta i maggiori analisti sostenevano che la sovraccapacità produttiva del settore, la necessità di realizzare economie di scala – attraverso l’integrazione della componentistica e l’utilizzazione di pianali comuni anche tra aziende tra di loro concorrenti – e la ricerca di nuovi mercati di sbocco, avrebbe portato a una profonda riorganizzazione del comparto con la sopravvivenza di pochissime grandi imprese, cinque o sei, in grado di competere tra di loro ed affermarsi sul mercato globale.
La Fiat Auto non era annoverata tra le imprese europee in grado di sopravvivere alla crisi, anche dal suo stesso management, tanto che, nel 2000, l’amministratore delegato del gruppo Fiat, Paolo Fresco, negoziò la cessione dell’azienda Fiat con la multinazionale americana General Motors. Nel 2005, General Motors, alla scadenza delle opzioni, – a riprova delle difficoltà incontrate da Fiat Auto a superare i suoi problemi strutturali – si accordò con il nuovo amministratore delegato, l’astro nascente del capitalismo italiano, Sergio Marchionne, per rinunciare alla “put” option (opzione di acquisto) e acquisire dalla Fiat la tecnologia dei motori JTD diesel in cambio di una penale di 1,55 miliardi di euro.
La Fiat è rientrata in gioco solo grazie alla fusione con la Chrysler e allo scorporo di Fiat Auto dalla holding, scorporo che ha separato i destini della famiglia da quelli dell’auto e aperto la porta all’ingresso di nuovi partner.
La Fiat oggi è una multinazionale nella quale la componente produttiva italiana, l’azienda-Paese, come l’ha definita Pirani, ha un ruolo sempre più modesto. Infatti, la Fiat ha una fabbrica a Tychy, in Polonia, che produce 600.000 auto e occupa 6.100 dipendenti, con una media di poco superiore a novantotto auto per addetto; in Brasile ha uno stabilimento che occupa 9.400 lavoratori e produce 730.000 auto, con una media di settantasette vetture e mezzo per addetto; in Italia i cinque stabilimenti Fiat producono 649.000 vetture con 21.962 dipendenti, con una media di ventinove vetture e mezzo per addetto.1
La scarsa produttività degli stabilimenti Fiat in Italia non dipende, come erroneamente afferma Marchionne, prevalentemente dai problemi sindacali quanto, piuttosto, dalla scarsa utilizzazione degli impianti che – anche se spesso sono stati finanziati dallo Stato e sono già stati ammortizzati – hanno ingenti costi fissi e, quindi, comportano un aumento dei costi per unità di prodotto.
Per Guglielmo Epifani, è impensabile che possano provenire utili dagli stabilimenti italiani se questi «sono praticamente fermi» e «si fa Cassa integrazione dappertutto» perchè «il mercato europeo non va bene, in particolare per i marchi Fiat» infatti «sulle fasce medio alte, quelle che fanno guadagnare – prosegue Epifani –, la Fiat è praticamente assente, e su quelle medio piccole la concorrenza è agguerritissima. Non ci sono i modelli: questa è la realtà». Sempre a proposito di produttività, Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera scrive che “Nel 2009, considerando il livello ottimale (280 giorni di lavoro l’anno 24 ore su 24), Mirafiori è stata usata al 64% della capacità produttiva, Cassino al 24%, Melfi al 65%, Pomigliano al 14% e la molisana Sevel al 33%. Tychy viaggiava al 93%, del Brasile non si dice nulla, ma sarà simile alla Polonia”.2
L’insufficiente utilizzo degli impianti deriva, larga misura, dalla difficoltà di vendere le auto nonostante gli incentivi. Nel 2010, a recessione e incentivi finiti, la Fiat vende meno dei suoi concorrenti e perde quote di mercato: rispetto alla contrazione generalizzata delle vendite del settore, le marche del gruppo Fiat registrano un’ulteriore flessione del 10% .
Sergio Marchionne, intervistato da Fabio Fazio, ha affermato che «Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l’Italia. Nemmeno un euro dei due miliardi dell’utile operativo previsto per il 2010 arriva dall’Italia».3
In realtà quest’affermazione, che non corrispondente al vero, sembra finalizzata a nascondere i veri problemi dell’azienda, proponendo uno schema semplicistico in cui ci sono i buoni, Marchionne & Co., che vorrebbero salvare un’azienda, la Fiat, e un Paese nel quale si lavora poco e male per eccesso di diritti – inferiori, vale la pena ricordarlo di quelli vigenti in Germania – ma non possono perché ci sono i cattivi: la Fiom e chiunque abbia dubbi su Fabbrica Italia e la sua reale consistenza, per questo forse stanno pensando che, giacché in Cina s’inizia a scioperare per i diritti, forse, avendo l’Italia già dato, in aiuti di Stato, è meglio trasferirsi in Serbia.
La realtà è un po‘ diversa: nel primo semestre del 2010 la Fiat ha un fatturato di 27.762 milioni, con un risultato operativo di 1.003 milioni, Fiat Auto e Maserati producono un margine operativo del 2,4% del fatturato; Ferrari del 12,8; Iveco dell’1,4%; Cnh del 6,6%.4
Inoltre, nei primi nove mesi del 2010, la Ferrari ha generato 192 milioni di utile operativo; la Maserati 16 milioni di utile operativo; il Comau 1 milione di utile operativo; l’Iveco 130 milioni di utile operativo.5
Da ciò emerge che forse il problema è in Fiat Auto e, che forse, è venuta meno la capacità dell’azienda di progettare modelli vincenti ad alto valore aggiunto, adatti a essere prodotti in paesi ad alto costo del lavoro come l’Europa occidentale.
A giugno del 2004, Sergio Marchionne fu nominato Amministratore delegato del Gruppo Fiat. Nel 2005, assunse anche la guida di Fiat Auto.
Nel 2004, i marchi del gruppo Fiat avevano una quota del 31% del mercato italiano, oggi la loro quota è scesa al 29%.6
È vero, i cinque stabilimenti Fiat in Italia hanno una scarsa produttività, ma la ragione principale di ciò è da ricercarsi nel fatto che, come ha affermato Guglielmo Epifani, «Puoi anche lavorare 365 giorni all’anno e 24 ore al giorno, ma se fai auto che poi non si vendono la produttività sempre a zero resta». Ad oggi, l’offerta Fiat è composta prevalentemente da modelli riconducibili ancora alla vecchia gestione, cioè si producono modelli che non si vendono.
Il mancato rinnovamento della gamma frena le vendite e ciò comporta la messa a cassa integrazione dei lavoratori e il conseguente crollo della produttività. Viceversa, la fabbrica polacca di Tychy ha un’elevata produttività anche perché produce la nuova 500, la Panda e la Ford Ka.
Marchionne ha anche affermato che, a parità di produttività con i tedeschi ci sarebbe stata un’automatica parità di salari. Nel frattempo, a Tychy la produttività è tedesca e i salari polacchi, in Italia si vorrebbe realizzare una via di mezzo: produttività tedesca e salari polacchi.
Nel 2009, i 5.200 lavoratori di Pomigliano d’Arco hanno costruito 6,9 Alfa a testa e hanno fatto anche molta cassa integrazione, ad oggi, hanno lavorato ventotto giorni sulla 159 e quattordici su 147 e Gt.7
Un’analisi seria sulle produttività dovrebbe introdurre anche un ragionamento sul valore prodotto per ora lavorata, piuttosto che semplicemente per vettura, perché, ad esempio, l’Alfa 159 vale come margine operativo quattro o cinque Panda.
Un approccio di questo tipo spiegherebbe il consistente scarto salariale esistente tra i lavoratori italiani e quelli tedeschi: produrre Golf, consente di pagare di più i lavoratori che produrre Panda.
A Pomigliano, negli anni Avanti Marchionne si montavano ancora 180.000 Alfa; nel 2006, secondo Marchionne, se ne sarebbero prodotte 300.000; nell’Era Marchionne, tra Cassino, Pomigliano e Mirafiori se ne producono 100.000; secondo Marchionne, nel 2014, non si capisce come, saliranno a quota 500.000.8
Intanto, redditività e produttività di Fiat Auto rimangono al di sotto della media di settore. Negli ultimi quattro anni il margine operativo della Fiat, in percentuale sul fatturato è stato in media del 3,7 per cento, rispetto al 4,9 per cento dei suoi concorrenti. Il fatturato medio per dipendente di Fiat inferiore del 16 per cento.9
Per potersi presentare come l’alfiere del riscatto del sistema Italia, Marchionne mimetizza la scarsa produttività di Fiat Auto dietro al paravento di un Paese caratterizzato da una generale inefficienza del lavoro e una scarsa competitività delle imprese. Anche qui la realtà è diversa: secondo le indagini di Mediobanca e Unioncamere, dall’analisi dei bilanci, emerge un Paese con un sistema industriale efficiente e un’impresa, la Fiat Auto scarsamente efficiente.10
In sintesi: “L’Italia industriale oggi patisce una caduta della produttività dovuta alla recessione, ma prima aveva recuperato molto, salvo aver dirottato il maggior valore aggiunto verso il capitale a scapito del lavoro”.11
Marchionne ha anche dichiarato che: «Di nuovi modelli ne abbiamo quanti se ne vuole, dobbiamo però dare ai nostri stabilimenti la possibilità di produrre ed esportare, gli impianti devono essere competitivi, altrimenti non possono produrre e vendere niente». Anche su questo, la verità è un po‘ diversa.
I dati diffusi dall’Unrae, sulla vendita delle auto in Italia nel mese di ottobre 2010, registrano un calo delle vendite totali del 28,8% su ottobre 2009. Nello stesso periodo la flessione della Fiat è del 39,9%, questa differenza negativa di circa 10 punti percentuali si è registrata anche in altre rilevazioni nell’arco dell’anno.
Fiat Auto, nel periodo considerato, ha venduto 38.000 vetture, di cui 9.294 Panda e 3.816 nuova 500, ambedue prodotte a Tychy.
Fiat Auto scende sensibilmente più del mercato perché le case che producono modelli di fascia bassa e quelle che hanno il predominio del mercato pagano costi maggiori in termini di quote di mercato.
Sul mercato pesa anche un problema di disponibilità di modelli, come denuncia anche Gian Primo Quagliano, Presidente del centro studi Promotor. Infatti, la Fiat è ancora in testa alla classifica con Punto e Panda ma i modelli del gruppo presenti nei primi venti posti passano dai sette modelli dei primi dieci mesi dell'anno ai cinque modelli di quest’ottobre.
I dealer di Fiat e Lancia aspettavano la nuova Ypsilon e la nuova Panda per promuovere le vendite, invece, l’arrivo della Ypsilon sul mercato è previsto per giugno 2011, con ben ventisei mesi di ritardo; nel 2010 l’unico modello nuovo è stata la Giulietta dell’Alfa; la nuova Panda è annunciata per il 2012.12
Nonostante che il mercato europeo dell’auto sia in affanno, altri gruppi hanno investito in restyling e nuovi modelli: la Ford tra giugno e settembre ha presentato la S-Max e la Galaxy, a settembre il face lift della Mondeo, ha annunciato l’arrivo sul mercato, tra marzo e giugno 2011, annus horribilis secondo Marchionne, la Focus 5p, il pick-up Ranger e la Focus familiare; il gruppo Volkswagen, con il marchio Skoda, ha proposto il restyling di Fabia e Roomster e la new entry Superb Giardinetta, Audi, in questi mesi, lancia la A1, la sportiva A7 e presenta il restyling della TT, inoltre, con il marchio VW presenta il face lift di Touran e Sharan e nel 2011 lancerà le nuove Passat e Jetta; infine, Toyota, nel 2010 ha presentato la nuova Auris e nel 2011 presenterà la Lexus Ct 200th e la Verso S.13
In questo quadro, di concreto, del progetto Fabbrica Italia, per il momento, c’è solo l’ipotesi della nuova Panda a Pomigliano.
La Panda è il modello entry-level della Fiat. Tutti i modelli entry-level presenti nei listini delle case automobilistiche europee sono prodotti nei paesi dell’est-europeo o in aree territoriali ancora più competitive: la Ford produce la Ka a Tychy; la Fox della Volkswagen è assemblata in Brasile e Argentina; la Citroën C1, la Peugeot 107 e la Toyota Aygo, sono prodotte negli stabilimenti TPCA di Kolin, nella Repubblica Ceca.
Le entry-level sono auto economiche, posizionate in una fascia di prezzo caratterizzata da una concorrenza agguerrita, con margini ridotti all’osso e una domanda elastica al prezzo, con un basso contenuto di valore aggiunto, per questo, le case automobilistiche europee non le fabbricano in Francia o in Germania ma portano queste produzioni fuori dall’Europa occidentale, in luoghi dove i salari sono bassi, i lavoratori sono scarsamente sindacalizzati, le tutele sono basse o inesistenti. “Lo stesso fatto di immaginare di fabbricare la Panda in Italia, quindi, presuppone condizioni che equiparino costi e organizzazione del lavoro a quelli che possono essere ottenuti in Corea o, al massimo, nell’Europa dell’est. Il protocollo Fiat che detta le condizioni per investire su Pomigliano per farvi 280.000 nuove Panda l’anno non è altro che lo sviluppo per tabulas di questa equiparazione”.14
Sui temi della crescita e dello sviluppo si ripresenta sempre la solita, vecchia storia. Il sistema-Paese, dal punto di vista dell’industria manifatturiera, escluso, alcune, lodevoli eccezioni, continua a perseguire il recupero di produttività a spese del fattore lavoro. Questo “modello di sviluppo”, in passato, ha sostituito la mancata competizione sull’innovazione di processo e di prodotto con lo strumento della svalutazione monetaria. Oggi, di fronte all’impossibilità di mettere in essere manovre svalutative, si agisce sul fattore lavoro, attraverso l’erosione dei diritti e del reddito dei lavoratori. In parole povere il sistema-Paese ha abbandonato l’Europa dei diritti e del welfare e il suo sistema di relazioni industriali per concorrere con i capitalismi emergenti dell’est-europeo e dell’Asia.
Sembra quasi che il Paese sia inesorabilmente avviato verso la “lunga marcia” all’indietro, dal Pacchetto Treu, con l’introduzione della precarizzazione dei contratti di lavoro, alla legge 30, alle “comunicazioni di servizio” a Pomigliano, dove si chiede ai lavoratori di scegliere tra diritti e lavoro.15
L’incapacità di confrontarsi con le forze sociali su diritti, produttività e salario in un quadro europeo, porta la Fiat a rendere residuale la sua presenza in Italia. Cosa rimane di Fabbrica Italia al netto dell’idea di spostare produzioni dal Piemonte alla Serbia16 , la chiusura di Termini Imerese e il probabile fallimento dell’ipotesi Panda a Pomigliano d’Arco?
Inoltre, lo spin-off di Fiat Auto consentirà l’ingresso di nuovi partner non italiani interessati al settore auto e contribuirà, probabilmente, a consolidare lo spostamento del baricentro del gruppo verso i mercati in espansione e un ruolo sempre più strategico sul mercato americano e in Chrysler.
Fiat Auto, in questo quadro, sarà sempre meno un’azienda italiana, dal punto di vista produttivo, perché tenderà ad avvicinarsi ai mercati in espansione e, dal punto di vista della filiera del comando strategico, per il peso dei nuovi partner e per gli impegni assunti in Chrysler, sarà sempre più americana.
Secondo Guglielmo Epifani, quando l’amministratore delegato di Fiat sostiene di non avere più debiti con il nostro Paese «è come se si sentisse obbligato a stare qui da noi, mentre il gruppo è sempre più americano, forte in Brasile e negli Stati Uniti».
Fabbrica Italia assume sempre meno un significato reale perché gli investimenti “convenienti” saranno logisticamente sempre più alternativi a Pomigliano d’Arco, come l’ingente quantità di denaro pubblico che la Serbia mette in gioco.17
Sarebbe il caso che in Campania s’iniziasse a riflettere su queste questioni.
Note
1 Mario Pirani, “Perché Prodi e Marchionne hanno le stesse idee su Fiat”, la Repubblica, 11 novembre 2010. [torna]
2 Massimo Mucchetti, “Fabbrica Italia, le due incognite di Marchionne”, Corriere della Sera, 30 agosto 2010. [torna]
3 Sergio Marchionne, intervento a “Che tempo che fa”, Rai 3, 24 ottobre 2010. [torna]
4 Alessandro Penati, “Caccia ai nuovi mercati”, L’Espresso, n. 37, 16 settembre 2010. [torna]
5 Massimo Mucchetti, “Fiat. Radiografia di un colosso alla svolta”, CorrierEconomia, 1 novembre 2010. [torna]
6 Ibidem. [torna]
7 Ibidem. [torna]
8 Ibidem. [torna]
9 Alessandro Penati, “Caccia ai nuovi mercati”, L’Espresso, n. 37, 6 settembre 2010. [torna]
10 Massimo Mucchetti, “Fiat. Radiografia di un colosso alla svolta”, CorrierEconomia, 1 novembre 2010. [torna]
11 Ibidem. [torna]
12 Maurizio Maggi, “Marchionne? Fermo alla Panda”, L’Espresso, n. 42, 21 ottobre 2010. [torna]
13 Ibidem. [torna]
14 Alfredo Recanatesi, “Pomigliano: inseguendo la Corea”, Eguaglianza & Libertà, rivista di critica sociale, 16 giugno, 2010. [torna]
15 Ibidem. [torna]
16 Attualmente a Mirafiori vengono assemblate la Musa, l’Idea e la Multipla. Questi modelli saranno sostituiti dalla Lzero che, originariamente programmata a Mirafiori, sarà invece prodotta nello stabilimento Fiat Automobili Srbija di Kragujevac. [torna]
17 Cft. Carlo Scarpa, “Marchionne: tante dichiarazioni, una strategia”, lavoce.info, 27 luglio 2010. [torna]