campania rete i tVa bene il tavolo dei governatori, a patto che si apra un dibattito strategico sul vero ruolo del Sud nel sistema Paese
Quattro direttrici di sviluppo e di integrazione nel perimetro della macroregione meridionale

Il puntuale contributo di Paola De Vivo sui temi dello sviluppo, pone un punto fermo nel dibattito sul Mezzogiorno sistematizzando (spero definitivamente) in termini teorici la necessità di avere politiche complementari per lo sviluppo del Sud: politiche di sostegno ai sistemi locali e, simultaneamente, politiche nazionali finalizzate alla crescita del sistema meridionale. Inoltre, questa impostazione va declinata all’interno della più ampia questione mediterranea.

L’iniziativa dei Presidenti delle regioni meridionali di costruire un Tavolo di coordinamento va collocata in questo contesto, una iniziativa non effimera, che rifuggi da una logica politica contingente – costruire una forza di pressione nei confronti del governo centrale – finalizzata all’apertura di un confronto programmatico per superare le deficienze e le storture di una politica nazionale che, a destra come a sinistra, ha reputato il Sud una questione oramai marginale, privando il paese intero di una grande opportunità.

L’Unione meridionale deve scegliere, con coraggio, la strada meno facile: dispiegare una iniziativa programmatica che non sia la mera sommatoria dei singoli problemi e delinei, invece, una prospettiva programmatica valida per il sistema Italia, colmando, per questa via, un deficit programmatico che non appartiene solo all’alleanza di centrodestra.
 Il primo punto da cui partire è la riforma federalista.

Il Tavolo di concertazione deve porre con forza la necessità di aprire un dibattito strategico su questi temi a partire dalla constatazione che l’attuale suddivisione delle regioni è un ambito angusto e insufficiente per il dispiegarsi di una politica nazionale per il Mezzogiorno. Per questo, prima di discutere di procedure e deleghe bisogna definire meglio gli ambiti istituzionali, riprendendo la discussione sulla macroregione meridionale, proposta, a suo tempo, dallo studio puntuale, preciso e ancora attuale della Fondazione Agnelli. Intanto si può pensare a forme di coordinamento interregionale, a partire dall’utilizzo comune dell’ultima trance di finanziamento europeo: il Por 2007-2013 che andrebbe finalizzato alla risoluzione di alcune questioni strutturali e, nel contempo, all’individuazione degli assi su cui puntare per rendere competitivo l’insieme del Mezzogiorno.

Il Mezzogiorno si trova ancora ad affrontare questioni nate all’indomani dell’Unità d’Italia, quando, nel tentativo di disgregare culturalmente, politicamente, economicamente e socialmente l’ex Regno delle due Sicilie, sono state attuate una serie di iniziative che hanno sradicato antichi rapporti territoriali. Si pensi solo al fatto che le Puglie, storicamente legate a Napoli, sono state lentamente e costantemente portate a spostare la propria sfera di rapporti dall’asse tirrenico a quello adriatico: ancora oggi, non esiste un efficace collegamento su strada o su ferro tra Foggia e Napoli o tra Bari e Napoli.

Una politica meridionale per il Mezzogiorno deve svilupparsi individuando quattro assi di sviluppo e di integrazione all’interno della realtà meridionale: l’asse di integrazione tra la provincia di Napoli e le Puglie, il vecchio tragitto di Via Nazionale delle Puglie; l’asse di integrazione tra il beneventano e il Molise, quello che qualcuno ha definito il Molisannio; l’asse “tirrenico” che si sviluppa sul percorso Napoli-Salerno-Calabria; il collegamento tra Tirreno e Adriatico, attraverso l’asse Salerno, Potenza, Bari.

Le politiche territoriali dovrebbero sviluppare una razionale politica d’integrazione tra questi assi e favorire la creazione di un insieme di reti, materiali e immateriali, per consentire l’intermobilità e l’interscambio tra gli assi e i nodi del sistema Mezzogiorno.
 Il Tavolo, se non vuole ridursi ad essere un mero strumento di pressione per liberare risorse economiche da distribuire senza un progetto, deve farsi promotore di una interlocuzione nazionale con le forze economiche e sociali per individuare i punti di forza e di eccellenza da cui partire. I punti devono essere pochi e chiari, devono prefigurare le soluzioni, non sommare i problemi, per consentire una concentrazione rilevante di risorse umane e finanziarie che realizzino le necessarie masse critiche capaci di innescare un circolo virtuoso di sviluppo.
 Tutte le regioni meridionali sono afflitte, in modo omogeneo, dal problema dell’illegalità e dell’inefficienza della pubblica amministrazione che costituiscono il  più forte disincentivo agli investimenti nel Mezzogiorno.

L’illegalità diffusa trova la ragione prima della sua espansione ed il suo alimento, nell’assoluta assenza di ordinarietà.
L’Unione deve impegnarsi, sottoscrivendo un patto con gli elettori, a mettere mano, finalmente, all’efficacia e all’efficienza delle procedure ordinarie della pubblica amministrazione a tutti i livelli.

Una siffatta politica non produce risultati spendibili nel breve periodo, va al di là della scadenza di mandato, ma è la condizione prima per realizzare qual si voglia politica di sviluppo ed è la prima ragione di una politica di sinistra.
Quando un quartiere intero, grande come una città media italiana, composto di cittadini operosi e lavoratori, costruito ex-novo, diventa ostaggio di bande camorriste, ciò è il frutto di un’assenza strutturale  dello  Stato, della Regione, della Provincia e del Comune.

Un quartiere lasciato solo nell’ordinarietà: strade ancora chiuse e senza toponomastica, scuole non intitolate, vigilanza ordinaria assente, politiche contro la dispersione scolastica inesistenti, controlli fiscali ordinari mai attivati, politiche antiabusivismo mai realizzate, sono il terreno di cultura della legge del più forte, lasciano il cittadino inerme, indifeso e senza diritti e il territorio ostaggio dei clan. 
Controlliamo gran parte delle amministrazioni locali del mezzogiorno, perché non c’impegniamo in una grande opera di ripristino dell’ordinarietà, per portare anche al Sud lo Stato, inteso sia come insieme di norme esigibili che regolano la convivenza civile sia come certezza nazionale di fruibilità di diritti unici e inalienabili ed esigibili a Napoli come a Milano?

Le politiche di sostegno allo sviluppo locale hanno privilegiato una logica di sostegno al sistema delle imprese, che spesso non ha prodotto risultati significativi. È necessario passare ad una politica di tutela e di sostegno alle singole realtà produttive, accompagnandole in un percorso di crescita, attraverso l’offerta di servizi innovativi. Una siffatta politica potrebbe essere affidata ad una agenzia interregionale che realizzerebbe le necessarie economie di scala e di integrazione, necessarie per accompagnare le imprese e i sistemi locali di sviluppo nelle loro politiche di integrazione e presenza sui mercati internazionali.

In assenza di una politica nazionale per lo sviluppo, quant’anche si portassero a termine tutti questi processi, essi, di per sé, non sarebbero sufficienti a risolvere i problemi del Mezzogiorno che necessitano di una politica nazionale – non centralistica – che sappia intrecciare il problema del Mezzogiorno con quello di una politica contro il declino industriale del Paese.
La residualità della presenza industriale nazionale e meridionale ci mette nelle condizioni di poter osare una vera politica dell’innovazione che sappia intrecciare la lotta al degrado del territorio con la valorizzazione delle risorse naturali materiali e immateriali e con politiche di sviluppo sostenibili e innovative. 
Un terreno su cui l’Italia parte avvantaggiata, per effetto dei suoi ritardi nell’affrontare la questione, è quello delle politiche energetiche.

L’Italia ha un deficit energetico considerevole anche perchè negli anni scorsi non ha compiuto le scelte necessarie a superare questo gap. Paradossalmente questa situazione ha un aspetto positivo: sul piano delle tecnologie, non abbiamo compiuto scelte irreversibili, come ad esempio la scelta del nucleare. Questa situazione ci offre la possibilità di puntare da subito sull’idrogeno.
Le regioni meridionali devono candidarsi naturalmente ad essere il luogo deputato per lo sviluppo di una politica energetica di sperimentazione delle tecnologie legate all’idrogeno, a partire dal sostegno alla ricerca attraverso una forte integrazione tra il sistema universitario, quello della ricerca e quello delle imprese.
 Il Mezzogiorno deve porre con forza il superamento di una politica che ha puntato alla privatizzazione dei monopoli pubblici ovvero, ne ha trasferito la proprietà da pubblica a privata, rinunciando alla costruzione di reti pubbliche e consentendo una situazione anomala dove, il gestore della rete, attraverso politiche di dumping, è un competitore sleale nei confronti degli altri produttori di servizi a discapito dell’economicità e dell’efficienza del servizio.

Per superare il divario Nord-Sud, le regioni meridionali devono lanciare un proprio progetto che, a partire dalle telecomunicazioni, dove maggiore è il divario territoriale, punti alla realizzazione di reti pubbliche. In questa logica si potrebbe costituire un consorzio tra fornitori di servizi e regioni meridionali con l’obiettivo di cablare in fibra ottica tutto il territorio meridionale. Per questa via si costituirebbe un mercato potenziale di dimensioni notevoli, che favorirebbe anche la nascita di nuove imprese.

Le polemiche sviluppatesi tra Puglia e Campania, sull’allocazione di una produzione Alenia, sono una via da non seguire per due motivi fondamentali: una politica di concertazione meridionale, pena il suo fallimento, deve essere in grado di individuare anche laddove è più conveniente allocare una produzione. Altrimenti una politica di sviluppo coordinata non si dispiega. Inoltre, la polemica ha portato in secondo piano il fatto che quella produzione, collocata nella fascia bassa del ciclo di produzione, sarà la prima ad essere contrattata, come merce di scambio,  tra il consorzio europeo e i cinesi in cambio di consistenti commesse. La questione da porre, quindi, è se l’Italia rientra, in modo non marginale, nel progetto dell’aereo europeo e, solo dopo, dove collocare le produzioni strategiche e quali.

Il consistente patrimonio archeologico, monumentale e culturale del Mezzogiorno è la base di partenza su cui sviluppare una politica del tempo libero che superi l’idea del sostegno al turismo inteso come sostegno alla costruzione di alberghi e ristoranti e inizi ad affermare l’idea del turismo come cross-over di tecnologie e risorse che ponga in rete risorse materiali e immateriali che trasformi il Mezzogiorno in un enorme Parco a tema integrato, che assumi il turismo come elemento trasversale a cui finalizzare un intervento a tutto campo, sostegno al commercio elettronico di prodotti tipici, costruzione di siti web, digitalizzazione del patrimonio ecc.
Porre la questione meridionale nell’ambito di quella mediterraneo significa anche individuare settori strategici, a partire dall’agroindustria e dalla gestione delle acque (desalinizzazione e potabilizzazione), per una politica di cooperazione tra i Paesi mediterranei.

Un progetto di lungo periodo, foriero di risultati positivi, anche per una politica di pace, potrebbe essere la costituzione di un Istituto Universitario Mediterraneo, di carattere residenziale, sul modello dei college, per aiutare la formazione di una classe dirigente mediterranea cosmopolita, la Regione Campania si potrebbe candidare ad ospitarlo.
In vista delle elezioni politiche del 2006 i Presidenti meridionali, alla fine di un percorso di dialogo con le forze vitali della società meridionale, potrebbero indire gli Stati generali della Sinistra Meridionale dove presentare il progetto per il rilancio internazionale dell’Italia attraverso una politica nazionale per il Mezzogiorno.

[L’Articolo, 27 aprile 2005]

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