La relazione di Luca di Montezemolo all’assemblea della Confindustria è stata letta come un ritorno allo “spirito del ‘93” e una sconfessione della gestione D’Amato. Faremmo un cattivo servizio a Montezemolo giudicando il suo intervento solo come un cambiamento di metodo nella gestione delle relazioni sindacali. Il ragionamento di Montezemolo rappresenta una sfida da raccogliere, definisce nuovi paradigmi e propone una visione dello sviluppo radicalmente alternativa al modello di D’Amato quando afferma che: «Esiste un momento, nella vita di ciascuno di noi… in cui occorre restituire qualche cosa di quello che abbiamo avuto. E noi, come imprenditori e come cittadini di questo Paese, abbiamo avuto molto. Spetta a noi rifiutare la logica del declino…
Affrontando la concorrenza che c’è. Innovando i nostri prodotti. Investendo in ricerca ed in nuove capacità produttive che ci consentano di stare sul mercato… Ogni calo di tensione danneggia il nostro Paese e impoverisce i nostri figli. Quello che abbiamo, recita un antico detto, lo abbiamo in prestito da loro».
Coerentemente con la scelta di puntare sull’innovazione l’area asiatica è vista non già come un concorrente da contrastare attraverso la compressione dei salari bensì come mercato di sbocco per merci ad alto valore innovativo. Anche perchè un «mercato che si allarga non è solo un mercato di esportazione.
È sempre più anche un mercato di produzione, di ricerca e di innovazione» perché «la scomposizione dei processi produttivi permette di concentrare in alcuni mercati funzioni specifiche, lasciando altre attività ad altri mercati» e quindi «continueremo sempre a produrre beni. Ma il contenuto di servizio aumenterà progressivamente, man mano che ci sposteremo nella fascia alta della gamma delle produzioni» perché «il nuovo paradigma produttivo è capace di generare maggiori redditi e maggiori soddisfazioni. Sono stati sconfitti quanti, scioccamente, pronosticavano la fine del lavoro che invece nel mondo è cresciuto ed è aumentata la sua qualità, specie nei paesi sviluppati. Nuovi mercati e nuove tecnologie ci consentono di avviare nuove organizzazioni produttive. Possiamo scegliere, se chiuderci al nostro interno nel tentativo di non cambiare nulla, o aprirci a queste nuove esperienze anticipando quanto stanno facendo altri Paesi». Finalmente una analisi condivisa che parte dalla considerazione che «dobbiamo uscire da questa fase di stagnazione. La produzione industriale dei primi mesi del 2004 è ferma sugli stessi livelli dell’autunno del 2001. Di fatto, siamo tornati ai livelli di produzione di sei anni fa». Quindi Epifani non era un pericoloso estremista ma un attento osservatore di un fenomeno grave che D’Amato, lui sì per calcoli politici, faceva finta di non vedere. Montezemolo, come già Epifani, si chiede: «Ma perché la Francia, la Germania e gli Usa hanno difeso meglio le loro quote di mercato?» e si risponde: «La verità è che siamo meno competitivi, come tipo di prodotto, come mercati di sbocco, come sistemi di distribuzione, come finanza che ci aiuti a conquistare mercati, come costi di produzione, come costo ed efficienza della Pubblica amministrazione. Non è così per tutte le imprese. Abbiamo anche imprese eccellenti che sanno stare sui mercati». Dopo il merito, il metodo: «Per raggiungere questi obiettivi dobbiamo lavorare tutti assieme. Con uno spirito di squadra… Occorre che la Pubblica Amministrazione accompagni le imprese, non le ostacoli. Dobbiamo adottare politiche efficaci per lo sviluppo investendo risorse pubbliche in ricerca e in infrastrutture». Ma «il primo passo lo devono fare le imprese. La concorrenza si batte solo se si sa innovare». A D’Amato che chiedeva bassi salari, meno diritti, più flessibilità, Montezemolo risponde: «Non mi stancherò mai di ripetere: innovazione, innovazione, innovazione, da Ragusa a Trento, dall’agricoltura all’elettronica, dai giovani agli anziani, dai letterati agli ingegneri, dal professionista al pubblico ufficiale».
Riprendendo e citando il Vertice di Lisbona chiede allo Stato di fare la sua parte perché: «l’innovazione da sola non basta. Le nuove produzioni e i nuovi lavori presuppongono forti investimenti in formazione e ricerca. Il mondo è tornato a viaggiare sulle idee” e le idee “sono il prodotto di una applicazione perseverante e di uno studio profondo e diffuso di milioni di individui».
Bisogna investire in ricerca perché è vero che «nessuno di noi sa quali saranno i settori e le produzioni di domani. Ma tutti abbiamo chiara la percezione che chi parteciperà allo sforzo di ricerca mondiale sarà in grado di competere nel mondo di domani».
Reggere la sfida dell’innovazione significa cambiare in modo condiviso, allargare la partecipazione e Montezemolo sembra averlo capito quando dichiara che: «Confindustria, non persegue gli interessi dei suoi maggiori iscritti e neppure quelli della produzione in opposizione a quelli dei consumatori o dei lavoratori» perché «l’impresa è anche cosa pubblica, nel senso che coinvolge più soggetti… e usa risorse altrui, ambientali e finanziarie… fattori della produzione che devono essere adeguatamente remunerati e preservati».
La nuova concertazione nasce dall’idea che l’impresa per crescere ha bisogno «che tutto il Paese si metta in marcia. Occorre che si riprenda con nuovo entusiasmo e fiducia reciproca il dialogo tra le parti sociali» perché «possiamo condividere un progetto per il Paese… perché condividiamo la stessa preoccupazione sulla tenuta del nostro apparato produttivo, e sulla necessità di creare più occupazione. Per questo dobbiamo avviare analisi congiunte, individuare obiettivi, definire gli strumenti e, soprattutto curare l’implementazione della azioni necessarie. Senza una vera attenzione alle cose da fare, si rischia di rielaborare l’ennesimo elenco delle cose da fare».
In questo scenario la concertazione nasce dall’idea «che la collaborazione tra imprese e sindacato produce risultati concreti, utili allo sviluppo delle imprese e alla crescita delle persone».
Infine, dopo un giudizio severo e condivisibile sul federalismo, Montezemolo definisce le tre priorità per la crescita: una cultura imprenditoriale favorevole alla crescita; un sistema finanziario capace di aiutare le piccole imprese nella fase di crescita; un fisco che non penalizzi, ma aiuti i processi di fusione e di acquisizione delle imprese che vogliono crescere.
Dopo aver definito le condizioni ambientali necessarie alla crescita e chiuso la polemica tra “piccolo e grande” affermando che il «problema è far crescere il numero delle grandi aziende, perché un Paese di piccole imprese deve comunque avere delle grandi imprese, che producano ricerca e management, che sappiano stare sui mercati mondiali, che forniscano quei servizi avanzati che solo una grande organizzazione può produrre» ha affermato che il «nostro problema resta ancora quello del Mezzogiorno» e ha denunciato che l’esigenza di modificare la politica di incentivi nasce «non già per rendere più efficiente l’intervento nel Mezzogiorno, ma per ridurre le spesa pubblica e per favorire una successiva riduzione della pressione fiscale» quando invece «Il Mezzogiorno deve essere la nostra nuova frontiera: una frontiera che si apra e che rappresenti il futuro del Paese e non la somma dei problemi del passato».
Montezemolo si propone come parte di una nuova classe dirigente, a partire dal Sud. Sarebbe importante, come altra parte di una nuova classe dirigente, raccoglier la sfida e portare contributi di merito anche per saggiare l’effettiva disponibilità al cambiamento annunciato.