rass sind pSi sta realizzan­do un salto nell’organizzazione della società, che sconvolge e trasforma i rapporti sociali ed i rapporti tra le classi, che esige approcci e analisi che superino le interpretazioni con­suete. Il centro propulsivo di queste trasfor­mazioni è l’elettronica.
 L’elettronica è una tecnologia che penetra in tutti i settori industriali, sconvolgendoli e trasformandoli; che si diffonde, inducendo nel terziario radicali mutamenti, che come un fluido permea ogni aspetto della realtà socia­le. L’informatica e l’automazione hanno da­to origine a nuovi settori produttivi, ridise­gnato la struttura industriale, sconvolto i rapporti tra le classi nella sfera della produ­zione e nella sfera dei consumi, svuotando nel giro di dieci anni il patrimonio di conoscenza operaia sull’organizzazione dei processi pro­duttivi e annullando le più significative con­quiste del movimento sindacale.

L’organizzazione e la gestione della pro­duzione attraverso l’uso dei calcolatori rende flessibile il ciclo lavorativo, realizza le con­dizioni per sostituire le «vecchie» linee di montaggio con le isole o le unità di montag­gio integrate. L’automazione di intere fasi di lavorazione, realizzata attraverso l’uso di macchine a controllo numerico e l’introdu­zione di microprocessori applicati alle mac­chine oggettivizza lavoro operaio nelle mac­chine stesse sostituendo fisicamente operai con macchine. L’introduzione dei polmoni di scorta tra le varie fasi lavorative annulla l’incidenza della microconflittualità, ade­guando alla rigidità operaia la flessibilità del ciclo produttivo.

In questo quadro di modificazioni il ciclo produttivo non ha più le caratteristiche di un processo rigido e lineare che interrotto in un qualsiasi punto si blocca. La «vecchia» rigi­dità operaia si confronta adesso con un ciclo programmato al centro e realizzato in unità periferiche diverse e fisicamente distanti, ma che interagiscono e sono interscambiabili tra di loro.

L’informatizzazione del ciclo e l’automa­zione delle fasi lavorative agisce contempo­raneamente sul prodotto e sul processo pro­duttivo. Ad esempio, nel settore automobi­listico è aumentato in modo significativo il numero di componenti elettronici che entra­no nel funzionamento della macchina. L’ac­censione elettronica, la sostituzione dello spinterogeno con l'accensione elettronica, i computer di bordo sono solo i primi passi dello svilup­po dell’autonica.
Il processo di trasformazione del prodotto investe anche i settori produttivi più maturi: il mercato degli elettrodomestici è invaso da lavoratrici «intelligenti», macchine per cuci­re programmabili, apparecchi attivabili con schede magnetiche e cosi via.
L’interconnessione tra informatizzazione del ciclo produttivo ed elettronificazione del prodotto ha determinato il crollo verticale del tempo di lavoro necessario per unità di prodotto.

Alla Olivetti la produzione della Divisumma richiedeva nove ore e dieci minuti di lavoro, la Logos 40 è invece assemblata in soli quaranta mi­nuti.
 Il processo di ristrutturazione produttiva nel settore automobilistico in Usa ha realiz­zato le condizioni per l’espulsione di quattrocentomila lavoratori, lo stesso processo in Italia alla Fiat ha comportato la messa in cassa integra­zione guadagni di trentamila metalmeccanici senza prospettive di rientro.

In realtà appare sempre con maggiore evidenza che gli investimenti concernenti l’u­so delle tecnologie elettroniche sono sostitu­tivi e non aggiuntivi di occupazione: l’obiet­tivo esplicito è l’ampliamento smisurato del­la produttività del lavoro umano.

La conseguenza più immediata di questa manovra è l’eccedenza, generalizzata in tutti i settori e in tutti i paesi, di quote sempre maggiori di forza-lavoro.
In Italia in un settore in notevole espansio­ne, la telematica, il piano di rilancio prevede di fronte ad un finanziamento di tremila mi­liardi l’espulsione dal settore stesso di tremila e novecento lavoratori. Questi primi dati di analisi im­pongono una revisione profonda dei termini in cui è stata impostata la lotta sindacale per il rilancio degli investimenti e più in generale richiedono la messa in discussione dell’intera strategia sindacale degli ultimi dieci anni.

Il movimento sindacale ha analizzato l’at­tuale fase di sviluppo capitalistico con le stesse categorie concettuali utilizzate per analizzare lo sviluppo degli anni Sessanta. Alla ristrutturazione industriale degli anni Cinquanta ha fatto seguito, negli anni sessanta, una fase di svi­luppo capitalistico caratterizzata da un forte incremento di livelli occupazionali. In quella fase storica lo sviluppo economico ha coin­ciso con la crescita dell’occupazione, del reddito e dei consumi. Per una sorta di deter­minismo logico, il movimento sindacale ha assunto l’equazione investimenti uguale oc­cupazione come un assioma sempre e co­munque valido e non invece, come era cor­retto, come un’equazione valida solo in fasi di sviluppo espansivo e annullata anzi rove­sciata in una fase come l’attuale di sviluppo intensivo.
 La strategia sindacale si sviluppa oggi as­sumendo ancora un quadro di riferimento di tipo espansivo, usando strumenti di inter­vento nella realtà ormai logori, gestendo ac­cordi impraticabili, ritenendo ancora valido strategicamente il semplice obiettivo del ri­lancio degli investimenti come base di par­tenza per la lotta per l’occupazione.

Ciò che sottende l’accordo Fiat non è forse l’illusione che superata la congiuntura il ri­lancio del mercato permetterà il riassorbi­mento nella produzione dei lavoratori in cassa integrazione guadagni.

La realtà va invece in un altro senso. Alla Fiat, grazie all’introduzione delle trasfert, dei robogate, del Lam (la linea asincrona di montaggio motori), è stato ridotto il nu­mero dei lavoratori, non certo il numero di automobili prodotte.
La fase attuale non è quella di una crisi a cui seguirà l’inevitabile «sviluppo» col rela­tivo rilancio dell’occupazione, ma è l’intrec­cio tra sviluppo, ristrutturazione e caduta della domanda, tutto interno a una logica capitalistica di contrattazione dei livelli oc­cupazionali complessivi.

La realizzazione di una linea di difesa pra­ticabile, condizione indispensabile per una ripresa dell’iniziativa operaia, esige la scon­fitta di due linee divaricanti ed ambedue sbagliate che iniziano ad emergere nei com­portamenti sindacali.
La prima linea di analisi è quella che legge la realtà con un approccio che ha per base teorica quello che potremmo definire deter­minismo tecnologico. Settori significativi del movimento sindacale leggono le trasforma­zioni attuali come dato oggettivo ed immu­tabile. Questo processo di sviluppo capitali­stico sarebbe «inevitabile», l’espulsione di significative quote di lavoratori dal ciclo pro­duttivo un costo necessario per restare nell’a­rea delle società avanzate.
Le condizioni di partenza non sarebbero quindi modificabili, quasi che questa orga­nizzazione sociale sia l’unica possibile, que­sto tipo di «sviluppo» con questa distribuzio­ne del reddito l’unico immaginabile.

A questa analisi, che in fondo assume il movimento del capitale come variabile indi­pendente dello sviluppo va contrapposta una linea che assuma il lavoro come unica varia­bile indipendente. Questo cambiamento di sistema di riferimento impone la possibilità necessità di rompere l’attuale struttura del tempo di lavoro organizzato su otto ore gior­naliere per cinque giorni la settimana; assu­mere la riduzione dell’orario di lavoro come uno degli strumenti indispensabili dì una strategia credibile e praticabile e che inizi a utilizzare la cig in questo senso, argine contro i licenziamenti di massa e generalizzati.

Al determinismo tecnologico va quindi contrapposta l’attualità di un progetto di trasformazione sociale che muova dal lavo­ro. Una seconda analisi che è presente nel dibattito sindacale legge le sconfitte attuali come risultato delle degenerazioni del grup­po dirigente.
Settori consistenti del gruppo dirigente in­termedio del sindacato teorizzano che, essen­do la causa prima dell’attuale arretramento la linea di cedimento della dirigenza, basti organizzare l’opposizione ad esso per rilan­ciare il fronte di lotta e sconfiggere la linea padronale di ristrutturazione. Questo tipo di ragionamento semplifica i termini reali del problema. Il sindacato e i lavoratori sono stati sconfitti anche per gli errori di linea dell’attuale gruppo dirigente del sindacato ma principalmente perché, senza che ce ne accorgessimo, sono mutati i termini dello scontro.
L’informatizzazione delle aziende e della società non solo ha innescato un meccanismo di redistribuzione del potere a favore delle classi dominanti ma ha anche stravolto i rapporti all’interno del blocco sociale anta­gonista, ridisegnando la composizione di classe.
La reimpostazione della strategia sindaca­le deve partire dalla gestione di una lunga fase di sconfitta in cui conviveranno vecchi e nuovi comportamenti, sarà necessario la­vorare per pezzi di progetto per poter valo­rizzare gli elementi di contraddizione sociale che emergeranno, distinguere tra soggetti so­ciali marginalizzati dalle innovazioni in atto e lavoratori che la nuova società informatiz­zata valorizza. Il determinismo operaio è speculare al determinismo tecnologico, ne è l’altra faccia, ambedue assumono la realtà sociale già data e immutabile, le forze in campo già date, definite a priori, ed il mondo come un libro già scritto.

Una analisi di classe circoscritta ai cam­biamenti avvenuti in fabbrica sarebbe inevi­tabilmente parziale, lascerebbe fuori dal campo di indagine le mutazioni profonde avvenute nell’organizzazione sociale, le no­vità che le tecnologie elettroniche e l’infor­matica hanno prodotto nella struttura socia­le e in particolare nel rapporto che si è venuto a determinare tra settori produttivi e terzia­rio.
Nella società, parallelamente all’introdu­zione delle tecnologie elettroniche in fabbri­ca, è aumentato in modo considerevole il grado di diffusione degli elaboratori elettro­nici per il trattamento dei dati e delle infor­mazioni.
La capillare diffusione di queste macchine nella società è stata resa possibile dalla diminuzione dei costi e delle dimensioni dei computer: un calcolatore che nel 1975 aveva 10 mila componenti a valvola occupava 20 m3, costava un milione di dollari, oggi un calcolatore con cinquecentomila componenti ad ele­vata miniaturizzazione occupa 0,1 m3 e costa cento dollari. In relazione alla diffusione degli elaboratori si è accresciuto in modo conside­revole il ruolo che occupa l’informazione nella società. L’attuale fase di sviluppo assu­me il trattamento delle informazioni come condizione indispensabile per la gestione, il governo e il funzionamento dei processi di ogni tipo e complessità.

L’uso delle tecnologie informatiche è la condizione indispensabile per la realizzazione di molti servizi. L’elaboratore da macchi­na di calcolo per usi amministrativi è diven­tato lo strumento per la gestione di molteplici attività. In una significativa espansione sono l’insieme delle attività di servizi qualificati. In Campania, come in tutto il Mezzogiorno, già si realizza uno squilibrio tra domanda ed offerta di questo tipo di servizi, che peserà non poco sulle future possibilità di sviluppo meridionale.

Pur in presenza di una domanda eccedente rispetto all’offerta si nota per alcune specia­lizzazioni un’offerta inevasa. Mancano per esempio ingegneri o economisti specializzati in informatica.

La prima iniziativa sindacale potrebbe es­sere finalizzata alla apertura delle aziende a Pp.Ss. e delle strutture di formazione (v. Formez) a studenti universitari per periodi di esperienze in azienda all’interno della nor­male attività di studio. Questa manovra con­sentirebbe già un primo equilibrio tra do­manda e offerta.
In conclusione potremmo affermare che quella che qualcuno definisce società post­industriale non è una società senza fabbrica bensì una società nella quale la produzione è finalizzata alla realizzazione di macchine che consentano di rispondere sempre meglio alla domanda di servizi. In questa società, di cui già si intravedono le coordinate, il rap­porto tra lavoratori occupati nelle attività manifatturiere classiche e lavoratori occupa­ti nella produzione di servizi sarà ribaltato rispetto alle società industriali.

La progettualità della sinistra e del movi­mento sindacale deve misurarsi con questo ordine di problemi.

[Rassegna sindacale Campania, 29 giugno 1984]

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