L’abolizione, decretata dall’Unione europea, delle quote d’importazione contingentate per le merci provenienti dai paesi in via di sviluppo avrà pesanti ripercussioni sull’apparato produttivo locale e nazionale. Infatti, in Europa, i mercati locali saranno inondati di prodotti cinesi e indiani, a costo bassissimo, privi d’indicazione d’origine e spesso basati sulla clonazione di prodotti e marchi del design italiano. Quest’evento, dal lato del mercato, s’intreccia con un analogo processo, dal lato della produzione, che ha interessato il settore della meccanica strumentale, dove le aziende cinesi aggirano frequentemente le normative internazionali sul copyright, producendo macchinari ed utensili, non progettati in Cina bensì copiati da macchinari identici, prodotti da aziende nazionali, a costi sensibilmente inferiori perché, ovviamente, le spese in ricerca e sviluppo sono state sostenute dalle aziende truffate.
A questi due fenomeni bisogna aggiungere anche l’ascesa dei cinesi sul mercato dell’elettronica e dell’informatica, mercato dove hanno acquisito il controllo della divisione personal computer dell’Ibm e detengono la seconda industria d’elettronica di consumo al mondo. La clonazione dei prodotti, le enormi economie di scala, il basso costo della manodopera cinese fanno di questo paese un terribile concorrente delle aziende nazionali e locali. Si stima che il superamento delle quote, per il solo settore tessile, metterà in crisi circa 28mila imprese. Come si può attrezzare il sistema produttivo campano rispetto ad un fenomeno di tale portata? Partendo dalla considerazione che non ci si può opporre alla globalizzazione dei mercati e quindi alla concorrenza di beni prodotti a costi inferiori, la competizione porta benefici indubitabili per i consumatori, abbiamo di fronte due opzioni strategiche da mettere in campo. La prima opzione deve partire dal fatto che, spesso, esiste un differenziale qualitativo che viene aggirato anche per la totale assenza di controlli. Il sistema produttivo, e le istituzioni locali, devono chiedere con forza che l’abolizione delle quote sia associata ad un rigido regime di controlli e di sanzioni sulle contraffazioni. Inoltre, l’industria locale deve difendersi attaccando, in altre parole, aumentando il grado d’innovazione contenuto nelle merci prodotte. Questa politica di difesa del mercato locale non deve farci dimenticare l’aspetto più importante dell’irruzione di una potenza come la Cina sul mercato mondiale. L’imponente crescita dell’economia cinese ed asiatica ha determinato profondi cambiamenti nella struttura economica dei Paesi dell’area. Il tumultuoso sviluppo industriale di questi Paesi ha fatto emergere una facoltosa e numerosa classe borghese che ha accumulato ingenti risorse finanziare. Si stima che oggi in Cina risieda il più alto numero di ricchi del mondo. Questi si arricchiscono sempre di più, con la produzione di merci contraffatte ma vogliono acquistare prodotti invece originali. Il simbolo più evidente di questo processo, è il fatto che oggi il negozio di lusso più importante al mondo, per qualità e quantità di griffe, ha sede a Shangai. Questo fenomeno ha implicazioni molto importanti per la Campania. Gli asiatici sono particolarmente affascinati dal design occidentale e, in particolare, dal made in Italy. La Cina per noi non è solo un temibile concorrente nella fascia bassa ma è anche un formidabile acquirente nella fascia alta. In questo contesto, il sistema produttivo locale deve porsi l’obiettivo ambizioso di aggredire il mercato cinese attraverso una politica coordinata e concertata tra imprese, istituzioni e parti sociali che punti ad una politica consortile che da una parte costruisca le condizioni per aumentare il valore immateriale dei prodotti locali e dall’altro favorisca l’ingresso nel mercato cinese non delle singole imprese ma del sistema produttivo. Una siffatta politica dovrebbe puntare su alcuni settori, nei quali la nostra regione ha know-how sufficiente per competere con le altre imprese nazionali ed europee. La Campania deve attrezzarsi attraverso show room, strutture distributive, listini comuni tra aziende affini e campagne pubblicitarie comuni tendenti a favorire l’affermazione del made in Campania e puntare sui settori del Tessile e Abbigliamento d’alta gamma, del Conciario, della Logistica, dell’Agroalimentare (in particolare i vini), la Cantieristica da diporto, l’Aeronautica e il Turismo. Una politica di questo tipo, creerebbe effetti positivi per l’economia campana, sicuramente in misura maggiore ai danni procurati dall’invasione di merci cinesi sul nostro mercato.