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Il dibattito sui “nuovi termini della questione meridionale”, che finalmente si sta sviluppando sulla stampa locale, mi ha richiamato alla mente un bel saggio di Vittorio Foa sul movimento operaio nel quale, l’autore, di fronte ai cambiamenti avvenuti nella società italiana alla fine degli anni Settanta, sosteneva che di fronte ad alla realtà, che sembrava di difficile interpretazione, si stava commettendo un errore sistemico: si utilizzavano lenti che non consentivano più di interpretare i dettagli. Egli sosteneva che, per poter “leggere correttamente” la mutata realtà, bisognava cambiare gli occhiali. Il problema non era la realtà “non interpretabile” bensì i paradigmi inadeguati ad interpretarla. La metafora degli occhiali mi sembra qquanto mai appropriata applicata all’attuale fase del dibattito in corso sul meridionalismo.
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Unioncamere ha diffuso in questi giorni i dati del Sistema informativo Excelsior, promosso con il Ministero del Lavoro, sui movimenti occupazionali previsti per il 2004. Dalla lettura dei dati si registra un saldo occupazionale nazionale dell’1,3%. Il Nord-Est ha un saldo coincidente con la media nazionale mentre il Nord-Ovest (0,7) ed il Centro (1,1) si attestano al di sotto della media nazionale. Il Sud e le isole registrano una performance esattamente il doppio della media nazionale (2,6). Il saldo della Campania coincide, sostanzialmente, con quello del Sud (2,5). All’interno dell’area regionale Caserta (2,1), Napoli (2,0) e Avellino (2,4) hanno un trend di crescita del saldo al di sotto della media regionale, mentre Benevento (3,5) e Salerno (4,2) si attestano su un saldo sensibilmente superiore alla media nazionale e regionale.
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La manovra correttiva definita dal Ministro Tremonti e già reputata dall’Unione Europea insufficiente a far fronte al deficit dell’Italia costituisce una manovra preoccupante per il Mezzogiorno. Infatti, il governo ha scelto di finanziare la riduzione elettorale delle tasse a discapito di una politica di rilancio degli investimenti e dello sviluppo del Paese. Il “decreto taglia spese” presentato come una semplice razionalizzazione della spesa corrente invece sceglie deliberatamente di non affrontare i problemi strutturali del Pese e in particolare quelli del Mezzogiorno.
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Le considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia confermano le preoccupazioni avanzate da più parti sullo stato dell’economia italiana. Nel 2004, a fronte di una crescita dell’economia mondiale stimata al 4,5 per cento, frutto di una crescita del 4,5 per cento dell’economia statunitense, del 4 per cento di quella giapponese, del 7 per cento di quella asiatica e dell’1,5 per cento dell’area dell’euro. L’economia italiana, secondo il Governatore, con uno sviluppo pari in media all’1,4 per cento all’anno, nell’ultimo quinquennio, si situa nettamente al di sotto della media europea. Il numero medio di addetti delle nostre imprese, al netto di circa 2.400.000 imprese con un solo addetto, è di circa 8 dipendenti (3,6 al Sud), a fronte dei 13 in Francia e in Germania e 15 nel Regno Unito.