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La crisi mondiale ha accelerato le difficoltà del settore automobilistico, e i processi d’integrazione e razionalizzazione tra le varie aziende mondiali.
Già alla fine degli anni Novanta i maggiori analisti sostenevano che la sovraccapacità produttiva del settore, la necessità di realizzare economie di scala – attraverso l’integrazione della componentistica e l’utilizzazione di pianali comuni anche tra aziende tra di loro concorrenti – e la ricerca di nuovi mercati di sbocco, avrebbe portato a una profonda riorganizzazione del comparto con la sopravvivenza di pochissime grandi imprese, cinque o sei, in grado di competere tra di loro ed affermarsi sul mercato globale.
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Va bene il tavolo dei governatori, a patto che si apra un dibattito strategico sul vero ruolo del Sud nel sistema Paese
Quattro direttrici di sviluppo e di integrazione nel perimetro della macroregione meridionale
Il puntuale contributo di Paola De Vivo sui temi dello sviluppo, pone un punto fermo nel dibattito sul Mezzogiorno sistematizzando (spero definitivamente) in termini teorici la necessità di avere politiche complementari per lo sviluppo del Sud: politiche di sostegno ai sistemi locali e, simultaneamente, politiche nazionali finalizzate alla crescita del sistema meridionale. Inoltre, questa impostazione va declinata all’interno della più ampia questione mediterranea.
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L’abolizione, decretata dall’Unione europea, delle quote d’importazione contingentate per le merci provenienti dai paesi in via di sviluppo avrà pesanti ripercussioni sull’apparato produttivo locale e nazionale. Infatti, in Europa, i mercati locali saranno inondati di prodotti cinesi e indiani, a costo bassissimo, privi d’indicazione d’origine e spesso basati sulla clonazione di prodotti e marchi del design italiano. Quest’evento, dal lato del mercato, s’intreccia con un analogo processo, dal lato della produzione, che ha interessato il settore della meccanica strumentale, dove le aziende cinesi aggirano frequentemente le normative internazionali sul copyright, producendo macchinari ed utensili, non progettati in Cina bensì copiati da macchinari identici, prodotti da aziende nazionali, a costi sensibilmente inferiori perché, ovviamente, le spese in ricerca e sviluppo sono state sostenute dalle aziende truffate.
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33 anni fa veniva inaugurata la fabbrica che avrebbe cambiato il volto industriale della Campania e dell’intero Mezzogiorno. Produceva l’auto per il nuovo ceto medio italiano. Oggi deve sfidare i colossi internazionali.
Era un bellissimo giorno dell’estate del 1966 quando Giuseppe Luraghi, presidente dell’Alfa Romeo radunò il suo team di progettisti, i migliori disponibili, per comunicargli che il governo di centro-sinistra aveva dato via libera al progetto Alfasud. Fu così che Rudolf Hruska, un esperto progettista austriaco che aveva lavorato in Volkswagen e Porsche, ebbe il compito di costruire uno stabilimento per produrre berline di cilindrata medio-alta (1200 cc) con forti innovazioni di stile e di tecnica.